In questi giorni, camminando per le strade di Roma, tra un sanpietrino rotto e l’altro, tra uno sguardo torvo che mi riservava il gabbiano di turno, a farmi compagnia ci sono state bandiere arcobaleno in ogni dove, tenute in cantina per l’inverno pronte ad essere utilizzare questo mese e poi riposte in una scatola in fondo alla stanza.
Perché giugno è il mese del Pride, il mese in cui in ogni angolo del mondo le persone celebrano e festeggiano la comunità LGBT+ scendendo in piazza con marce, sfilate, concerti e festival in occasione l’anniversario dei disordini di Stonewall.
Giugno è un mese bellissimo e colorato, ma spesso insidioso e ricco di dolori. Perché giugno è il mese del rainbow washing.
Il mese del pride
Difficile scappare dai loghi arcobaleno che spopolano online e offline in questo mese dell’anno.
È una pratica comune. Infatti, per mostrare il proprio sostengo alla comunità LGBT+, molti brand hanno indossato la bandiera arcobaleno, colorando i vari simboli per posizionarsi in maniera inclusiva nella mente dei consumatori.
Bello, no? Un po’ di colore non fa mai male. Purtroppo no.
In molti casi, si tratta di rainbow washing. È ovunque, ci insegue e non ci molla. Ma se lo conosci lo eviti.

Il “pride marketing”
Da dove nasce questo interesse da parte delle aziende?
Dopo anni e anni di attivismo, di sensibilizzazione e informazione, i diritti LGBT sono diventati centrali nel dibattito pubblico e quindi nel marketing. Le aziende hanno iniziato a mostrare in modo sempre più palese il proprio supporto, per posizionarsi, per vendere e nel migliore dei casi per guidare un cambiamento all’interno della società civile.
Questo interesse è forte e radicato: secondo una ricerca di eMarketers, negli Stati Uniti il 24% delle persone comprerebbe con più probabilità da aziende che si mostrano interessate alla comunità LGBT+. In Italia, il 75% delle persone sceglie con convinzione o preferisce i brand attenti a diversità e inclusione.
Insomma, il mercato c’è e sembra funzionare bene.
I lati positivi
Questo interesse da parte delle aziende è sicuramente un dato positivo. Rappresenta un passo avanti, un progresso per un cambiamento culturale necessario e non più rimandabile. Gli episodi omobitransfobici sono molto frequenti in tutti i paesi del mondo, tra cui non manca certo l’Italia, e vedere i brand prendere parola sulla questione è un modo per combattere la discriminazione in maniera trasversale.
Il mondo si può cambiare una pubblicità alla volta e il “pride” marketing può potenzialmente migliorare la società in cui viviamo.
Rainbow washing: qual è il problema
Ma il gioco è bello finché dura poco. O meglio, finché è vero. Ed è qui che entra in gioco il nostro nemico del mese, il rainbow washing.
Il rainbow washing è la pratica di utilizzare (o sfruttare) i diritti LGBT+ all’interno della comunicazione aziendale senza dare un apporto significativo alla questione.
È quindi un interesse superficiale, dichiarato a parole senza che nessuna particolare azione venga intrapresa, né a livello interno né a livello esterno.
Sono quelle azioni non-azioni, che mettono in imbarazzo (qualcuno direbbe cringe) l’azienda e i consumatori e consumatrici.
3 esempi di rainbow washing
Se la tua azienda o brand decide di esporsi a favore della comunità LGBT+, fallo per le giuste ragioni o potresti ottenere l’effetto contrario, facendo arrabbiare le persone che vorresti includere nella tua comunicazione.
Impara dagli errori degli altri.
Due anni fa, durante il Pride month Vicoria’s Secret ha postato una foto del suo logo color arcobaleno, celebrando i clienti LGBT+. Sfortunatamente per loro, Twitter non dimentica e molti utenti hanno ricordato lo spiacevole (a dir poco) episodio dove il direttore marketing del brand ha affermato che le persone trans non fossero adatte al Victoria’s Secret Fashion Show.
Y’all remember when you said “a trans model couldn’t sell the fantasy” y’all remember that? I️ do. Change your shit back to pink. We good. https://t.co/PU1Gw8FvFW
— ⚡️Electric Fence Personality ⚡️ (@killerkingggg) June 7, 2019
E più sono grandi le aziende più è alto il pericolo di rainbow washing. La Goldman Sachs ha dovuto affrontare una causa legale molto pesante per discriminazione delle persone LGBT+. Più nello specifico, un ex dirigente gay ha dichiarato che il suo superiore lo ha escluso da un’importante conferenza perché “sembrava troppo gay”. A giugno però l’azienda non è riuscita a trattenersi dal sbandierare arcobaleni vari ed eventuali, partecipando al Pride e dichiarandosi alleata delle persone LGBT+. Basta Golden Sachs, questa ipocrisia mi fa male al fegato.
E come dimenticare il panino “gay” di Marks & Spencer, multinazionale inglese che ha deciso di mostrare il proprio sostegno alla comunità LGBT+ con … un panino.

Il panino non ha avuto molto successo (incredibile). Non c’era assolutamente NESSUNA connessione tra un panino preconfezionato da 5 sterline e decenni di oppressione delle persone LGBTQ. Offensivo, senza senso e controproducente. La perfetta definizione di rainbow washing.
I consumatori lo sanno
Il rainbow washing c’è e si vede.
Una ricerca di eMarketer ha studiato che le persone sanno riconoscere cos’è rainbow washing e cosa no e lo percepiscono come un mero strumento di marketing per ripulirsi la coscienza.
La metà degli utenti online negli Stati Uniti ha affermato che se un’azienda presenta prodotti o contenuti relativi al Pride, è più probabile che lo vedano come una tattica di marketing che come un vero riflesso dei valori dell’azienda.
Sempre più persone si mostrano scettiche nei confronti di aziende che si pitturano di arcobaleno per il tempo di uno spritz, dimenticandosi della comunità LGBT+ non appena il calendario segna il primo luglio.
Anche per questo motivo il rainbow washing non è una strategia efficace, anzi.
Consigli per parlare di pride all’interno della tua comunicazione
Quindi, cosa puoi fare?
Ci sono molti modi per supportare davvero la comunità LGBT+ senza passare dal rainbow washing. 3 principi fondamentali applicabili a molte cose:
- Rispetta i tuoi dipendenti e clienti
Un modo per scoprire se la tua azienda è davvero LGBT+ friendly è fare un check interno: quante persone che lavorano per te sono LGBT+? Se sono poche, tieni a mente che le tue azioni potrebbero essere incoerenti e poco efficaci, anche perché non hai nessun con cui confrontarti e fare un reality check significativo.
Se invece dentro la tua azienda ci sono già molte persone LGBT+, è giusto far conoscere il tuo impegno ma attenzione a non usarle come degli oggetti nelle tue campagne di marketing. Essere gay, bi o trans non è qualcosa che le persone che lavorano per te hanno deciso né sono dei valori in astratto. Rispetta la loro identità senza usarli come paladini della tua inclusività: si dimostra con i fatti, non solo con le parole.

- Se hai sbagliato chiedi scusa
Quante volte abbiamo fatto un errore, non abbiamo dato importanza alle parole o più semplicemente non sapevamo come parlare bene di un argomento? Se l’errore che hai fatto è nel passato (10 anni fa non eri inclusivo? Discriminavi senza volerlo? Agivi con superficialità?), chiedi scusa per gli errori del passato e mostra come sei cambiato.
Se l’errore è recente, chiedi scusa nel modo giusto. Nessun “mi dispiace avete frainteso, mi dispiace se le mie parole hanno urtato la sensibilità…”. No.
Se devi scusarti, assicurati di fare queste tre cose:
- Usa parole specifiche specifico
- Mostra rimorso
- Descrivi i prossimi passi
(Su come chiedere scusa ci torneremo più avanti perché è un capitolo enorme e spesso trascurato)
- Supporta la comunità tutto l’anno
Il miglior modo per usare strategicamente il Pride è non usare strategicamente il Pride. Mi spiego meglio.
La tentazione di voler seguire il trend o il momento cool del momento può essere forte e mossa da motivi anche nobili, come il voler donare dei soldi ad associazioni che tutelino i diritti LGBT+. Potrebbe aiutarti ad aumentare le vendite, ma solo per un anno o poco più. Alla fine consumatori e consumatrici si renderanno conto che lo fai solo per soldi.
Se invece il tuo supporto è reale e costante per tutto l’anno, i vantaggi sono infiniti, per l’azienda e per le persone.
Il marketing inclusivo non è una campagna da fare una volta l’anno: è una pratica a tempo pieno. Se hai intenzione di schierarti solidale con un gruppo emarginato, assicurati di farlo per le giuste ragioni. Racconta storie e ottieni opinioni da coloro che non sempre hanno voce in capitolo.
In breve, segui il Pride month, presidia la giornata contro l’omobitransfobia, lotta per i diritti LGBT+ solo se ci credi davvero.
Hai qualche domanda o dubbio che non riesci a toglierti dalla testa? Vuoi sapere di più su come comunicare in modo strategico ed inclusivo? Scrivimi, insieme possiamo capire come impostare la tua strategia inclusiva.
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